Quando
vidi la prima volta Astoli, presentatomi da Gigi Lazzaroni, sapevo che
a lato della professione svolgeva una attività che lo impegnava
con soddisfazione e parlando con lui, oltre la discrezione, notai nella
persona la modestia nel trattare se stesso come artista.
Un atteggiamento in contrasto con le modalità usate dai tanti
artisti che si autopresentano dichiarando con enfasi che la propria
produzione contiene valori assoluti e che il loro concetto di arte è,
modestamente, il più perfetto.
Quella volta Umberto Astoli mi chiese, con un garbo ora disueto, se
volessi esaminare i suoi lavori, quasi convinto che non fossero proponibili
ad un pubblico che andasse oltre amici e parenti.
Nel palazzetto di Porta Vittoria lo studio si presenta sobrio e serioso
come vuole quella tradizione milanese che non ama apparenze ed esibizioni.
La sorpresa è quando appare, alle pareti ed ovunque, una serie
di quadri, alcune tele senza cornice o ancora fresche di colore, che
illuminano l’ambiente di meraviglia.
Si legge nello sguardo dell’avvocato lo stesso timore e la stessa
speranza che ci riporta al momento in cui ci siamo trovati davanti alla
commissione dell’esame di maturità.
Osservo da vicino le prime tele, e, ormai rotto il ghiaccio, escono
da altre stanze nuovi quadri. Ogni tela è diversa dall’altra,
per soggetto, tecnica, misure, colore: la assoluta non ripetitività
dei lavori è un buon segno per capire che questa volta siamo
davanti ad un artista non solo libero, ma capace di affrontare il vuoto
della tela in modo semplice quasi selvaggio, penso che dire fauve
a lui piacerebbe poco, penso al dipinto del Leone.
La presentazione dei lavori lascia al primo momento stupiti di fronte
alla capacità e alla serenità nell’esprimere fantasie
attraverso forme differenti ogni volta suggerite dal nuovo soggetto,
o meglio dalla poesia scavata nel sogno in cui artista e soggetto si
fondono.
Credo che ora l’artista mi autorizzi a riportare un nostro scambio
di idee davanti ad un quadro nel quale solo lui può ritenere
tecnicamente non espresso appieno il significato voluto. In effetti
con qualche accorgimento formale si raggiungerebbe lo scopo e perciò
alla domanda se non ritenga utile frequentare una scuola d’arte
risponde: - utile, certo, ma non voglio che schemi e tecniche imprigionino
la mia fantasia - .
Infatti manifesta la sua fantasia in una espressione comunque
di immediato impatto e di ampia e aperta comunicazione per le più
vaste categorie di lettori d’arte.
L’esame è superato e sappiamo che nella prova i candidati
sono stati due, l’artista e chi ora ne scrive. Lo abbiamo capito
insieme.
Nel preparare la personale l’autore mostra una certa ritrosia
nel presentare tutte le opere che scegliamo.
San Giorgio e il Drago è scelto come emblema per la
simpatia generata da un mostro che emette vino e dalla ingenuità
di un santo bambino che sul suo piccolo cavallo esibisce armi rustiche
per fare dell’incontro un allegro gioco. Questo piccolo capolavoro.
di mezzo metro per un metro, riprodotto su gli inviti della mostra invoglia
i visitatori ad appropriarsene ma trovano il nonno Umberto irremovibile
nella volontà di destinarlo al nipotino.
Allestita la mostra occorre dare un titoli ad ogni quadro; per alcuni
l’autore è preciso e per altri improvvisa e quando chiedo
spiegazioni con pazienza mi da soddisfazione e talvolta chiede ed accetta
collaborazione come per Gladiatori, Galleria del Duomo, Prosciutto.
In Golgota Astoli raggiunge un livello di alta drammaticità con
un primo piano espressionista mentre lontano e discrete si intravedo
tre piccole croci.
Ancora oggi per avvicinarci all’artista è utile e piacevole
rileggere insieme alcuni titoli dei suoi racconti ed aneddoti: Levanto
segreta, Mosca d’autunno, Corrida rustica, Mal di denti, Pensiero
da cavallo, Pipistrello da parata, Sopruso, Spazio nullo, Lo spettro
di Piovera o di persone a lui vicine: La zia Egina, Gianfranco,
Il ritratto di un amico e di se stesso Autoritratto.
Alberto Bolzani
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